curatella

a cura di Alessandro De Bei e Massimo Perissinotto

lunedì 25 marzo 2013

1970: IL CONFORMISTA di Bernardo Bertolucci

IL CONFORMISTA, film ancora "giovanile" di Bernardo Bertolucci, che inconsciamente precorre i tempi che verranno di Cimino, Fassbinder e persino del David Lynch di Blue Velvet, pur guardando alla "decadenza" di Visconti, al quale affettuosamente Bertolucci si rivolge sempre 'come "Luchino". Partendo da un affresco storico dell'Italia fascista, Bertolucci tratteggia la figura di un uomo dilaniato tra una supposta, o anelata, identità borghese, e una intrinseca diversità. I due "padri", il primo biologico finito in un manicomio metafisico e il secondo "spirituale", professore universitario e antifascista, diventano le proiezioni della sua personalità schizofrenica. Nel vorticare cupo dei tempi, il protagonista Marcello Clerici, titanicamente interpretato da Jean Louis Trintignan, in una discesa agli inferi che suggella la sua appartenza alla classe borghese, violata nell'età adolescenziale da un atto di violenza, trascina con sè tutta la caduta di un'epoca, del regime contingente e dei suoi sogni di purezza e d'amore, sacrificati sull'altare del conformismo. Due parole, di pura sensualità, su Dominique Sanda e sull'eterno desiderio di giovinezza di Stefania Sandrelli... stupefatte e innocenti.

martedì 12 marzo 2013

2003: MYSTIC RIVER di Clint Eastwood

Torbida vicenda di bambini braccati dai lupi e di un fiume nero come l'auto che se li porta via. Bambini cresciuti seppellendo segreti. Segreti che diventano colpe troppo grandi da espiare. Clint affonda e gira la lama nel cuore buio dell'America, sempre frontiera nonostante i grattacieli e i quartieri residenziali. Eroi loro malgrado, nella loro concreta fragilità umana, i tre protagonisti (magnificamente interpretati da Sean Penn, Tim Robbins, Kevin Bacon) alla ricerca "impossibile" di una vita normale, che il destino ha precluso all'età di undici anni. Siamo ancora lì, dice uno dei tre, con la consapevolezza che in quel punto preciso della strada, e della vita, lui e i suoi due amici rimarranno in eterno, anche quando uno di loro se ne sarà andato per sempre; perchè "per sempre" non è l'eternità e i cadaveri che galleggiano sul Mystic sono panni tanto sporchi che non esistono vendette o redenzioni che li possano lavare. Se nella sequenza d'apertura l'auto nera scivolava lenta nella strada che taglia in due la suburbia di Boston, portandosi via l'innocenza di tre undicenni, in quella di chiusura sfila la parata del 4 Luglio, in un tripudio frastornante di tamburi, trombe e sventolio di bandiere, mentre dal lato opposto della strada uno dei due sopravvissuti saluta l'altro con un cenno infantile della mano. L'america non si prende cura dei propri figli... è il classico assunto eastwoodiano, lo abbiamo letto a chiare lettere anche su IL TEXANO DAGLI OCCHI DI GHIACCIO, L'UOMO NEL MIRINO e in UN MONDO PERFETTO, ma qui -in questa vetta di cinema morale- ci è ancora più chiaro il concetto: in una nazione nata dal sangue, l'amicizia non può che che infrangersi nell'individualità, e in una legge da antico testamento piegato alla famiglia. Una nazione che si sostituisce a Dio, imponendo la più barbara e ingiusta delle leggi, quella del più forte. Voto: !!!!!

venerdì 8 marzo 2013

1985: IL CAVALIERE PALLIDO (PALE RIDER) di Clint Eastwood

Una ragazzina di un villaggio di cercatori d'oro, seppellisce il suo cane, ucciso durante una scorribanda dei latifondisti.
Prega un dio, quasi senza convinzione, esigendo da "lui" un miracolo in cambio della saldezza della propria fede prossima a vacillare: << Mi hanno ucciso il cane... e il nonno. Ora, se TU esisti, devi aiutarci! >>. E l'aiuto arriva. Da uno spiraglio di sole che filtra tra le montagne innevate e il  cielo prossimo alla tempesta, vediamo uscire un cow boy al trotto. Un cavaliere stagliatosi d'incanto nell'immensità della Frontiera. Una "figurina" lontana che avanza, mentre le nuvole si diradano al suo passaggio. Inizia così IL CAVALIERE PALLIDO (PALE RIDER); con un funerale, quasi sempre  apertura o chiusura nei film di Eastwood; il terzo e piu' astratto dei quattro western diretti e interpretati da Clint Eastwood, che qui piu' che omaggiare Siegel e Leone sembra piuttosto rimpiangere Sturges e l'occasione perduta di JOE KID. Il cavaliere pallido, il predicatore (così chiamato per le sue vesti talari), incarna l'ideale genuino, ma ingenuo e infantile, del 'drizza torti che corre in aiuto dei  giusti, ma è una figura iconica da posizionare e rileggere nel suo giusto contesto ambientale, storico e sociale:  il tramonto della Frontiera e l'alba dell'era industriale. Il predicatore, infatti, non è un soldato di Dio, e -pur con umane debolezze- men che meno l'eroe di cui la ragazzina che lo ha "evocato", confusa e privata nella sua vita comunitaria di concrete figure maschili, si innamora (al pari della madre prossima a risposarsi). Semmai, il predicatore, è un revenant che compare e scompare, quasi incorporeo come un fantasma (emblematica in questo senso la lunga sparatoria risolutiva), e letteralmente evanescente nella sequenza finale: nella quale  ritorna a quella linea d'orizzonte che lo ha "partorito" in quanto pura idea mistica, che solo la realtà, imponendosi, scolora fino a far scomparire.
Non analisi della fine di un'epoca, bensì parabola della mitologia di un genere.
Voto: !!!!

lunedì 4 marzo 2013

1946: LA MORTE VIENE DA SCOTLAND YARD di Don Siegel

Il primo film del geniale regista di FUGA DA ALCATRAZ, è un sofisticatissimo omaggio al teatro, al cinema muto dell'espressionismo tedesco e a quello immediatamente successivo e sonoro della Universal, ovvero quel cinema americano "rimodellato" da giovani registi inglesi come James Whale e da transfughi dell'espressionismo come Fritz Lang e Karl Freund. Un grande lamento funebre che si eleva per le strade avvolte da nebbie cimiteriali della Londra vittoriana. Con un prodigio di stilizzazione che innesta il passato sopracitato ad una formula destinata a fare nel tempo proseliti, tra i più evidenti, moderni e famosi, Dario Argento e Brian de Palma. Il perno del film è la coppia formata da due maschere cinematografiche di grande fisicità, rese precedentemente famose da IL MOSTRO DI DUSSELDORF, dell'immancabile (in quanto maestro di tutti)Fritz Lang e IL MISTERO DEL FALCO di John Huston, ovvero: Peter Lorre e Sydney Grennstreet. Il dècor accuratissimo,che quasi satura ogni singolo fotogramma, ci introduce in un ambiente perfettemente reinterpretato da una sintesi degli spazi, forse, quasi obbligata, ma di certo risultante creativa e accattivante. All'interno di questa cornice fastosa, emergono tutta una serie di personaggi dominati da tensioni al limite della psicopatologia, che rendono ancor più ingarbugliata e inquietante la trama costruita con perfezione millimetrica e ingannatrice. Il delitto, sfociato nell'ambiente borghese di quattro amici, tra cui la coppia Lorre & Greenstreet, porta i personaggi a rivelare il loro vero volto al di là delle finzioni sociali e istituzionali: catalizzando nell'ipocrisia generale l'unico e autentico legame. Voto !!!!!

giovedì 28 febbraio 2013

1935: AMORE FOLLE di Karl Freund

Da Karl Freund, operatore e direttore della fotografia di METROPOLIS di Fritz Lang e regista del primo originale LA MUMMIA, un film tra i più malsani -forse il più malsano con FREAKS di Todd Browning- di quei tempi: agli albori del cinema sonoro, quando pionieristici fenomeni da baraccone (Todd Browning faceva il fachiro al circo prima di dedicarsi al cinema) e transfughi dell'espressionimo allungavano le loro ombre nella luce tinnica di una Hollywood in fascie: trasformando l'orrore in disperati melodrammi. Film epocale, in bilico tra il mondo della vecchia Europa, l'Espresionismo di Murnau , e il nuovo continente Americano: il vecchio e il Nuovo mondo. Peter Lorre giganteggia nella superba interpretazione del chirurgo Gogol, perdutamente innamorato ma non corrisposto dell'attrice teatrale Yvonne, interpretata da Isabel Jevel, già felicemente sposata con un famoso pianista, interpretato dal mitico Colin Clive (già protagonista dei Frankentein's di James Whale). Tale infausto innamoramento porterà Gogol ad idealizzare Yvonne, trasformandola in una sua creatura come nel Mito di Pigmalione e Galatea. Lo scambio tra donna reale e statua di cera da lui perversamente e feticisticante idolatrata, porterà Gogol in un crescendo allucinatorio in cui Lorre raggiungerà le vette interpretative del grandioso MOSTRO DI DUSSELDORF (del maestro di tutti: FRITZ LANG). Cult destinato a perdurare nel tempo e ampiamente citato da Alejandro Jodorowsky nel suo SANTA SANGRE. Voto !!!!

martedì 26 febbraio 2013

1954: IL COVO DEI CONTRABBANDIERI (MOONFLEET) di Fritz Lang

Non esiste il genere per "ragazzi": << E' solo una rassicurante convenzione per genitori apprensivi>>, lo sapeva bene (come anche lo sa chi ha da ragazzo ha letto e mai dimenticato Dumas, Stevenson, e il nostro Salgari) il più grande regista di tutti i tempi: Fritz Lang. Film fosco, cimiteriale fino al catacombale, con personaggi (uomini e donne) in piena e gaudente dissolutezza, eppure -seppur scorrettamente- iniziatico, come IL MONDO PERFETTO di Clint Eastwood, quasi a sottolineare la modernità di Lang e il classicismo di Eastwood: in entrambi un "manigoldo", in questo caso Jeremy Fox, ambiguamente interpretato da Stewart Granger (anima felicemente perduta), è suo magrado una figura paterna alla ricerca inconsapevole di una redenzione attraverso il martirio. Figurativamente ricchissimo e sofisticato, in un impianto classicamente pittorico, Lang reinterpreta il 700 non più come un vuoto ornamento, ma come un dramma esistenziale: facendo rivivere il ciclo pittorico di Hogart, LA CARRIERA DI UN LIBERTINO, innestando in esso una "faustiana" dannazione, ribaltata in una redenzione "maledetta" che lo porterà alla morte e all'infamia: unico viatico possibile per ambire all'amore filiale perduto e solo negli ultimi istanti di vita pienamente desiderato.
Voto: !!!!!

sabato 23 febbraio 2013

2007: BLOOD BROTHERS di Alexi Tan

Un melodramma gangsteristico come neanche ad Hollywood sanno (più) fare. Tragica, ma elegante, "epica" della malavita organizzata della Shanghai degli anni 30. Sfarzosa produzione di John Woo e Terence Chang. Splendida regia dell' esordiente, ma già stilisticamente maturo, Alexi Tan. Attori in stato di grazia. Sceneggiatura impeccabile. Ricostruzione storica minuziosa. Colonna sonora sublime. Un film perfetto, che onora con la propria eccellenza i modelli di riferimento, primo fra tutti: C'ERA UNA VOLTA IN AMERICA di Sergio Leone. Vergognoso che in Italia, nonostante sia stato scelto per chiudere il Festival del Cinema di Venezia nel 2007, un indubbio capolavoro come BLOOD BROTHERS (con tutte le porcherie che escono in sala!) sia stato "smerciato" direttamente in dvd. Voto: !!!!!