curatella

a cura di Alessandro De Bei e Massimo Perissinotto

mercoledì 20 febbraio 2013

2004: THE CHRONICLES OF RIDDICK di David Twory

La storia del cinema, fin dai tempi di INTOLLERANCE di Griffith e METROPOLIS di Fritz Lang, è piena di film tanto grandiosi da: o non poter essere realizzati ( Welles, Jodorowsky, Gillian, Fellini, Leone... ne sanno qualcosa), oppure, se realizzati, incompresi per lungo tempo tanto dal pubblico quanto dalla critica; si pensi -ad esempio- a CLEOPATRA di C.B.De Mille, I CANCELLI DEL CIELO di Michael Cimino, PIRATI di Roman Polanski, UN SOGNO LUNGO UN GIORNO di F.F.Coppola, THE THING di John Carpenter, BRAZIL di Terry Gillian, DUNE di David Lynch (prima di lui ci avevano provato, senza riuscirci, A.Jodorowsky e R.Scott), o gli italiani CABIRIA di Gabriele D'Annunzio, CRISTO PROIBITO di Curzio Malaparte, LUDWIG di Luchino Visconti, IL COLOSSO DI RODI di Sergio Leone, OCCHIO PINOCCHIO di Francesco Nuti, JOAN LUI di Adriano Celentano, JACKPOT di Mario Orfini... THE CHRONICLES OF RIDDICK, mastodontico kolossal dai set più grandi mai concepiti (nonostante il digitale già ampiamente in uso), appartiene a questa categoria. La cosa buffa (se non fosse tragica) è che si tratta del sequel di un piccolo film a basso costo, PITCH BLACK, il cui meritato ma inaspettato successo fu tale da indurre la Universal (forte anche dei suoi LA MUMMIA) ad investire cifre da capogiro e ad impiegare i migliori talenti sulla piazza in quello che, intenzionalmente, doveva essere un nuovo franchise da contrapporre alla trilogia di LORD OF THE RINGS, HARRY POTTER e ai prequel di STAR WARS. Inoltre, la Universal, per potenziarne la penetrazione, gli affiancò il cartone animato home video RIDDICK: DARK FURY e il videogioco RIDDICK: ESCAPE FROM BUTCHER BAY. Il risultato finale di tutta l'operazione, film compreso, rasentò talmente il flop da far cancellare ogni ipotesi del franchise di cui sopra. Perchè, viene spontaneo chiedersi? Eppure sulla carta il successo pareva assicurato. Troppo sulla carta, forse. Il vero difetto di THE CHRONICLES OF RIDDICK è per l'appunto la freddezza tipica del prodotto studiato a tavolino, la mancanza assoluta di anima e cuore: "La grandeur di una Hollywood postclip, inebriata di postmontaggio e di vertigine declamatoria del risceneggiarsi", come scrisse Enrico Ghezzi. Ma è davvero tutto da buttare? Niente affatto: il décor, e in generale tutto l'apparato visivo, si impone non solo per spettacolarità ma anche e sopratutto per originalità, e se il villain, un Colm Feore che offre una prestazione da filodrammatica di paese, manca totalmente di appeal, lo stesso non può dirsi del protagonista, un magnetico Vin Diesel dal fascino laconico e degli altri interpreti: Judi Dench, Alexa Donalds, Thandie Newton e Karl Urban, tutti perfettamente "ambigui" fino alla fine. Peccato che la barcollante sceneggiatura, da un lato ambiziosa e dall'altro caotica e prevedibile, la regia fracassona e il montaggio inutilmente ipercinetico, invalidino di fatto ogni qualità, perfino quelle meno "intrinseche". Soltanto gli ultimissimi minuti regalano qualche sussulto; ricordo lontano di un'epica cinematografica irripetibile: Ford, Kurosawa, Milius... Voto: !!!

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